venerdì 16 novembre 2012

Taranto (Puglia): visita alla città, cosa vedere e sapere


Il profumo salato della brezza, gli aromi di pesce fresco che invadono il molo, e il suono cadenzato delle onde sulla battigia, non fanno che sussurrare una poesia dedicata al mare. E il mare che accarezzaTaranto, a dire il vero, non è un’unica tavola turchese chiazzata di spuma: i mari sono due, impetuosi e affascinanti, e il comune pugliese viene chiamato anche “Città dei due mari”. Popolata da quasi 200 mila abitanti, capoluogo dell’omonima provincia della Puglia, Taranto è una creatura mutevole, vivace e gentile allo stesso tempo, carica di storia e proiettata verso un futuro fiorente.  Oggi si tratta del secondo centro più popoloso della regione, nonché terzo dell’Italia meridionale peninsulare, ma ancor prima dei nostri giorni la città ha conosciuto popoli innumerevoli: il suolo di Taranto è stato solcato da piedi valorosi, il suo territorio è stato desiderato da uomini potenti di ogni tempo, e il tessuto urbano porta le cicatrici dei tempi più duri ma anche i gioielli dei giorni più ricchi. Incastonata lungo l’omonimo golfo che si affaccia sullo Ionio, la città è lambita dal Mar Grande e dal Mar Piccolo, e si estende a un’altitudine media di 15 metri s.l.m.: a sancire lo sposalizio tra terra e mare è anche la forma particolare dell’area, che si divide in ben tre penisole naturali e un’isola artificiale. Il Mar Grande è quello che costeggia il litorale esterno, mentre il Mar Piccolo è considerato il vasto bacino interno.  Luogo d’incontro per eccellenza tra l’attività umana e la forza del Mediterraneo è il porto: a Taranto c’è infatti un grande porto industriale e commerciale, e la pesca è una delle risorse economiche più sviluppate della città. Non sono da meno l’agricoltura, che può contare sul nutrimento di un clima paradisiaco, l’industria e il turismo. I turisti trovano a Taranto la risposta a molteplici desideri: che si voglia trascorrere un’appassionante vacanza balneare, o si vogliano visitare testimonianze storiche di grande pregio; che ci si voglia abbandonare al divertimento più puro, o ci si voglia viziare con qualche peccato di gola, questa città è un mondo solare e accogliente, in cui si intrecciano storie che fanno innamorare.  Tra i monumenti più significativi c’è il Ponte Girevole, o Ponte di San Francesco di Paola, che collega l’isola artificiale del Borgo Antico con la penisola del Borgo Nuovo: aperto nel 1887 ad opera dell’Ammiraglio Ferdinando Acton, il passaggio consente di scavalcare un canale navigabile lungo 400 metri, che unisce i due mari della città. Rimodernato nel 1957 secondo le nuovetecnologie, il ponte fu dedicato a San Francesco di Paola, il santo protettore degli uomini di mare.  Il Borgo Antico, che occupa un frammento di terra avvolto dalle onde, può vantare un’antica costruzione di grande interesse storico e archeologico: si tratta dell’ipogeo “De Beaumont Bonelli Bellacicco”, imponente edificio che più di ogni altro racchiude pezzi di storia locale affascinanti. Un concentrato di memorie perdute, che partono da un’era geologica lontanissima, attraversano i periodi magno-greco, bizantino e medievale, e giungono al XVIII secolo. Sviluppato su tre piani, per un totale di 700 mq, l’ipogeo ha uno sbocco diretto verso il mare che conduce alla battigia del Borgo Antico.  Ma la costruzione più imponente di Taranto è indubbiamente il Castello Aragonese, o Castel Sant’Angelo, con una massiccia pianta quadrangolare che occupa l’angolo estremo dell’isola del Borgo Antico. La parte più datata risale al lontano 916, fondata dai Bizantini con lo scopo di proteggere l’abitato dagli attacchi pirateschi e della Repubblica Veneziana. Fu Ferdinando II d’Aragona, nel 1486, ad ordinarne l’ampliamento da cui risultò la struttura attuale, con sette torri di cui tre allineate lungo il fossato che raggiunge il Mar Piccolo, e le altre quattro disposte a disegnare un quadrilatero.  Non è da meno la Fortezza di Laclos, struttura fortificata creata per volere di Napoleone Bonaparte alla fine del XVIII secolo: deciso a fare di Taranto uno dei suoi avamposti sul Mediterraneo, l’imperatore volle garantire la sicurezza della città con la costruzione della fortezza, affidata al Generale d’Artiglieria Pierre Choderlos de Laclos. Rilevante dal punto di vista militare e architettonico, la costruzione si rivela fondamentale anche sul fronte paleontologico, grazie alla presenza di fossili incastonati nei blocchi calcarei alla base della struttura.  Per completare l’esplorazione cittadina, chi visita Taranto non può farsi sfuggire la cattedrale di San Cataldo, che si erge su un edificio bizantino della seconda metà del X secolo. Sull’impianto originario si creò la chiesa attuale verso la fine dell’XI secolo, con pianta di tipo basilicale, mantenendo alcuni elementi del palazzo precedente.  Tante altre chiese, disseminate nel centro di Taranto, testimoniano la profonda devozione dei fedeli nel corso dei secoli, così come le tradizionali feste religiose. Tra le manifestazioni più sentite dalla cittadinanza, in effetti, ci sono i Riti della Settimana Santa, che a partire dalla Domenica delle Palme attirano nel centro tanti visitatori della regione e oltre. Ricordando l’entrata di Gesù a Gerusalemme, le due principali confraternite comunali si sfidano all’asta per aggiudicarsi le statue che sfileranno in processione: il ricavato dell’asta viene devoluto nel corso dell’anno a favore di cause benefiche.  Ma gli eventi della città non si limitano alle feste religiose: rappresentativo della tradizione locale è ad esempio il Palio diTaranto, una manifestazione in costume che prevede, in particolare, una gara di imbarcazioni a remi disputata tra i dieci rioni della città. Nato nel 1986, il palio viene riproposto ogni anno in data 8 maggio, in corrispondenza della festa di San Cataldo che dura fino al 10 maggio. Le gare di barche continuano invece sino alla fine di luglio, quando avviene la premiazione finale.  Tra i dettagli più accattivanti delle feste locali ci sono le specialità gastronomiche che sempre accompagnano l’atmosfera di festa. I ristoranti tradizionali propongono ricette a base di frutti di mare ma anche di prodotti della terra, e tra i piatti più rinomati ci sono le orecchiette con le cime di rapa o il ragù. Deliziose le mozzarelle e le provole fresche, ma anche i piatti a base di carne, da innaffiare con un buon vino Aleatico di Puglia DOC, un Lizzano DOC o un Martina Franca DOC. Da provare, infine, le arance, i mandarini e le clementine che come pepite d’oro agghindano i raccolti nella campagna circostante, oppure l’uva, i fichi succosi e le angurie. I dolci più buoni, per chiudere ogni pasto in bellezza, sono quelli a base di miele e pasta di mandorle.  La frutta e la verdura di Taranto hanno il profumo e il sapore del sole: questo grazie al clima piacevolissimo della zona, che è di tipo temperato con qualche punta continentale. L’estate è molto calda e talvolta afosa, ma generalmente accarezzata dalla brezza gradevole che viene dal mare, mentre l’inverno è mite e piovoso, con poche precipitazioni nevose. Le temperature medie di gennaio, il mese più freddo, vanno da una minima di 6°C a una massima di 12°C, mentre in luglio e agosto si passa dai 20°C ai 29°C, con picchi che superano i 35°C. Le piogge si concentrano tra novembre e dicembre, quando cadono in media 52-59 mm mensili.  Essendo un’importante città turistica, industriale e commerciale,Taranto non è difficile da raggiungere. Chi viaggia in auto può percorrere l’autostrada del Sole Milano-Bologna-Canosa, poi la superstrada Bari-Lecce e infine la superstrada Lecce-Taranto. Chi sceglie il treno può contare sulla stazione ferroviaria cittadina e anche chi decide di volare può atterrare direttamente all’aeroporto tarantino di Grottaglie. Infine, se si sceglie il viaggio via mare, il porto di Taranto è collegato con le principali città portuali italiane.

Non solo Taranto, ecco tutte le Ilva d’Italia

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Non solo Taranto, ecco tutte le Ilva d’Italia Lidia Baratta Non solo Taranto, anche in altre zone d’Italia ci si ammala per l’inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali. In base al rapporto 2011 dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) sull'inquinamento degli stabilimenti industriali in Europa, più di 60 fabbriche italiane compaiono nella lista dei 622 siti più "tossici" del continente. E, a sorpresa, l’Ilva di Taranto del Gruppo Riva non è al primo posto tra le italiane. La maglia nera del sito più inquinante d’Italia (al 18esimo posto della lista Eea) se la aggiudica la centrale Enel termoelettrica a carbone Federico II di Cerano, in provincia di Brindisi. Ecco la mappa completa dei siti industriali più inquinanti d'Italia.  Non solo Taranto, anche in altre zone d’Italia ci si ammala per l’inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali. In base al rapporto 2011 dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) sull'inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali in Europa, più di 60 fabbriche italiane compaiono nella lista dei 622 siti più "tossici" del continente. E, a sorpresa, l’Ilva di Taranto del Gruppo Riva non è al primo posto tra le italiane. La maglia nera del sito più inquinante d’Italia (al 18esimo posto della lista Eea) se la aggiudica la centrale Enel termoelettrica a carbone Federico II di Cerano, in provincia di Brindisi, la seconda più grande del Paese dopo Civitavecchia. Qui, al confine con il Salento, dal 2007 il sindaco ha indetto una ordinanza che vieta la coltivazione dei 400 ettari di terreno che circondano la centrale. Da molti anni i contadini chiedono a gran voce cosa abbia avvelenato i loro campi. E forse, anche i loro polmoni. Alla fine hanno presentato un esposto, a partire dal quale la procura di Brindisi ha aperto una inchiesta. Tra i quindici indagati, ci sono dirigenti Enel e imprenditori addetti al trasporto del carbone che alimenta la centrale, accusati di gettito pericoloso di cose, danneggiamento delle colture e insudiciamento delle abitazioni. A contaminare i terreni, le colture, l’acqua e l’atmosfera, secondo la perizia affidata a Claudio Minoia, direttore del laboratorio di misure ambientali e tossicologiche della Fondazione Maugeri di Pavia, sarebbe la polvere del combustibile usato nella centrale. Stessa conclusione a cui è arrivato uno studio della Università del Salento e Arpa Puglia, che individua «la centrale Enel Federico II, con particolare riferimento alla gestione del carbonile» come «fonte potenziale più probabile delle emissioni». Il processo partirà il prossimo 12 dicembre e la provincia di Brindisi ha annunciato che si costituirà parte civile. Dopo Cerano, bisogna aspettare il 52esimo posto per trovare gli stabilimenti a rischio chiusura dell’Ilva di Taranto, con l’emissione di 5.160.000 tonnellate di anidride carbonica all’anno, circondati dalle raffinerie e dalle centrali termoelettriche di Eni (all’80esimo posto della lista Eea).  Alla 69esima posizione compaiono le Raffinerie Sarde Saras di Sarroch, in provincia di Cagliari, di proprietà della famiglia Moratti. Si tratta della raffineria più grande d’Italia, con una capacità di produzione di 15 milioni di tonnellate annue di petrolio, ossia il 15% della capacità italiana di raffinazione. Una vera e propria città del petrolio addossata al paese di Sarroch, in cui molte case sono state costruite quasi a ridosso dei serbatoi. Anche qui la procura della Repubblica ha aperto un fascicolo sulla attività della Saras e sulle presunte conseguenze per la salute degli operai e degli abitanti di Sarroch. Nella raffineria nel maggio 2009 tre operai sono morti intossicati dall’azoto nel corso di una operazione di lavaggio di una cisterna, e quattro dirigenti sono stati rinviati a giudizio per non aver garantito agli operai le condizioni di sicurezza necessarie sul posto di lavoro.  Non solo Saras. L'aria della Sardegna risulta altamente inquinata anche a causa della presenza della centrale termoelettrica E.on di Fiume Santo (Sassari), nell’area industriale di Porto Torres, e della centrale “Grazie Deledda” di Portoscuso, nel Sulcis. Rispettivamente all’87esimo e al 186esimo posto della classifica Eea. Il Sulcis, nell’area di Portovesme, è un bacino che accoglie aziende diverse, dalla produzione di alluminio (Alcoa, Eurallumina), bitume e polistirolo, al trattamento dei gas e alla gestione di rifiuti speciali e mercantili. E, ciliegina sulla torta, c'è anche una miniera di carbone (Carbosulcis spa). «Non ci possono essere corsie preferenziali per le bonifiche ambientali: Porto Torres e il Sulcis sono nelle stesse condizioni dell’Ilva di Taranto e devono essere immediatamente avviate», ha dichiarato il deputato Pdl Mauro Pili nei giorni scorsi. «Bisogna ricorrere anche qui alla magistratura, rischiando di far crollare tutto il sistema industriale sardo?», si chiedono in tanti sull’isola. Secondo il Wwf, nell’area industriale di Porto Torres «sono state scaricate acque reflue industriali in violazione dei limiti fissati dalla legge con conseguente inquinamento del suolo e immissione di sostanze cancerogene e altamente tossiche per l’ambiente e la fauna marini», generando «un gravissimo pericolo per la pubblica incolumità», con «l’incremento della mortalità per tumore polmonare, altre malattie respiratorie non tumorali, malformazioni alla nascita». In particolare, «nei pressi dell’insediamento petrolchimico è stata rinvenuta una lunga serie di contaminanti tra cui sostanze organiche clorurate, mercurio, solventi, diossine e pesticidi». E anche la salute del Sulcis sarebbe malata: secondo un dossier realizzato da TzdE “Energia e Ambiente”, solo nell’area di Portoscuso tra il 1997 e il 2003 siu sarebbe registrata un0incidenza del tumore ai polmoni superiore al 30% rispetto alla media regionale.  Non si salva neanche l’altra isola, la Sicilia, con il polo petrolchimico di Gela, quello siracusano (Augusta-Priolo) e le raffinerie di Milazzo (Messina). Queste aree sono state dichiarate «a elevato rischio ambientale» da uno studio dell’Istituo superiore di sanità, che ha osservato un’alta incidenza di patologie tumorali sia negli uomini che nelle donne. I siciliani che lavorano o abitano attorno a questi stabilimenti industriali, secondo l'Iss, si ammalano soprattutto di «tumore maligno del colon retto, della laringe, della trachea, bronchi e polmoni».  È quello che denuncia anche il sindaco di Civitavecchia Pietro Tidei, che ha minacciato di far chiudere la centrale Enel a carbone di Torrevaldaliga Nord per via dell’inquinamento prodotto dai fumi. «Questa mattina Civitavecchia sembrava la pianura padana e non per colpa della nebbia», ha dichiarato il primo cittadino nel corso della conferenza dei sindaci della Asl Rmf il 31 luglio scorso. «Quella polvere gialla che proviene dalla centrale Enel non possiamo più sopportarla». Ma Enel risponde che «tutti i controlli sulla funzionalità dei sistemi di monitoraggio delle emissioni sono stati effettuati da ditte specializzate, secondo le scadenze previste dall’autorizzazione integrata ambientale e sono state costantemente verificate dagli organi di controllo competenti». Altra regione in cui sono state individuate numerose aree ad alto rischio ambientale è il Veneto. L’impianto termoelettrico Enel di Fusina è alla posizione 108 delle fabbriche pericolose segnalate dalla Eea, mentre la raffineria di Venezia-Porto Marghera dell’Eni è al posto 403. Senza dimenticare che nell’area industriale c’è un piccolo impianto dell’Ilva con un centinaio di dipendenti che rischiano di stare a casa se gli impianti di Taranto venissero chiusi. Nel 1994 la magistratura avviò un'indagine per il disastro del polo industriale: 157 morti, 120 discariche abusive, 5 milioni di metri cubi rifiuti tossici. E anche qui ora i politici locali alzano la mano e chiedono che non si pensi solo a Taranto e all’Ilva. La differenza è che a Venezia ci sono stati i «risarcimenti» delle aziende che hanno versato quasi 500 milioni di euro per l'inquinamento prodotto, a Taranto invece per l'Ilva lo Stato stanzia direttamente quasi 360 milioni per bonificare e ridurre l'impatto ambientale dello stabilimento.